L’enorme
fabbisogno che l’allenamento con i pesi crea a livello dei muscoli può essere
soddisfatto solo se li si rifornisce regolarmente di nutrienti. Chi si allena
seriamente questo lo sa bene, perché ha sperimentato che il solo modo per
guadagnare o mantenere la massa muscolare è quello di mangiare regolarmente
ogni due o tre ore. Nonostante questa
regola sia stata una prerogativa del culturismo da quando esso esiste, gli organismi scientifici ne hanno fortunatamente compreso la validità, iniziando a
proporla come buona pratica comportamentale.
Pasti
piccoli e frequenti stressano solo
minimamente i sistemi di omeostasi che
regolano la concentrazione dei nutrienti
nel sangue rispetto ai pasti abbondanti e distanziati. Per cogliere appieno il
significato di questo aspetto basta considerare gli sforzi che il corpo compie
per regolare la concentrazione ematica del glucosio - la più rilevante forma di
carboidrati presente nel sangue - a seguito di un pasto. Dopo l’ingestione di cibo, lo zucchero arriva
nel sangue. Poiché la concentrazione ematica di glucosio deve
essere limitata e costante, un suo aumento stimola il pancreas a produrre a
sufficienza l'insulina, l’ormone che attenua la concentrazione di glucosio nel
sangue. La quantità d’insulina liberata è proporzionale al tipo e alla quantità
dei carboidrati assunti, e il suo ruolo consiste nel rimuovere il glucosio in
eccesso dal circolo ematico per distribuirlo ai
tessuti insulino-sensibili. Questi tessuti vengono così definiti perché
in assenza dell’ormone sono poco permeabili al glucosio, per il quale, appunto,
l’insulina esercita un effetto permissivo che ne facilita l'ingresso; il muscolo,
sia scheletrico che cardiaco, e l’adipe sono accumunati tutti da questo
meccanismo di approvvigionamento del glucosio.
Dopo
circa otto ore di digiuno i livelli di glucosio nel sangue di una persona sana
sono di circa 80 mg/dL (0,8 g/L). Invece, a
seguito dell’ingestione di un pasto contenente carboidrati la glicemia sale a
120 mg/dL (1,2 g/L). Considerando che un uomo
adulto ha normalmente una quantità di sangue che si aggira intorno ai 5 litri,
si può dire che appena svegli circolano nel torrente ematico 4 g di glucosio mentre, dopo aver mangiato,
la quota arriva a 6 g. In relazione all’introito giornaliero, grazie all’azione
dell’insulina, il nostro organismo riesce a contenere le variazioni di glucosio
entro un limite di soli 2 g rispetto all’enorme quantità di carboidrati consumati
in un pasto solo (una media di 80 g per ogni piatto di spaghetti di 100 g).
L’insulina
è quindi un ormone potentissimo perché capace di gestire enormi quantità di
glucosio evitando che aumentino vertiginosamente nel sangue, promuovendone
contemporaneamente l’utilizzo cellulare.
Tuttavia, gli effetti di quest’ormone non si limitano al metabolismo dei soli
carboidrati, bensì interessano tutti i nutrienti dell’organismo.
Sul
muscolo scheletrico l’attività dell’insulina è complessivamente orientata all’accumulo
delle proteine tissutali. L’ormone stimola infatti il trasporto degli
aminoacidi dal sangue al muscolo rendendoli così disponibili per la sintesi
proteica, di cui è esso stesso un potente stimolatore (Figura 1). Contemporaneamente,
l’insulina rallenta la disgregazione muscolare e inibisce la gluconeogenesi
epatica, una via metabolica capace di
trasformare taluni aminoacidi (glucogenici) in glucosio. Non stupisce quindi
che alcuni aminoacidi riescano a provocare la secrezione pancreatica di
insulina indipendentemente dalla presenza di glucosio.
Pertanto
l’insulina favorisce l'assorbimento e l'utilizzazione del glucosio nella
maggior parte dei tessuti del corpo, affinché questi lo utilizzino per le proprie necessità
energetiche. Infatti, la presenza di insulina nel sangue impone che sia il
glucosio ad essere bruciato come combustibile, diminuendo, al contempo, l'impiego
metabolico degli altri nutrienti. Insulina e glucosio stimolano
all’unisono anche la sintesi del glicogeno, la forma di
aggregazione del glucosio presente come deposito nel muscolo e nel fegato.
Tuttavia, la quantità di zucchero che una cellula riesce a contenere non è
inesauribile, e quando eccede il suo limite occorre destinarne l’esubero verso
altri settori del corpo. È il caso del tessuto adiposo, una riserva energetica
pressoché illimitata pronta ad accogliere gli eccessi di zucchero dopo che esso
è stato trasformato in grasso. L’insulina favorisce infatti la trasformazione in grassi dei carboidrati in
eccesso, promuovendone successivamente l’accumulo nel tessuto adiposo. Tuttavia è bene considerare che la quantità
di grasso corporeo è determinata essenzialmente dalla quota di lipidi
alimentari, perché, questa modalità di accumulo, si avvale di vie dirette e notevolmente favorite in termini di
economia energetica. Nonostante ciò, l’ingestione di grandi quantitativi di
carboidrati e di forme di essi rapidamente assorbibili, provocano elevati livelli
insulinemici che possono stimolarne la conversione in trigliceridi.
Una
certa quota di insulina è però sempre desiderabile in quanto capace di
assicurare un adeguato approvvigionamento cellulare di glucosio e aminoacidi e
rallentare la lipolisi, limitando così anche la chetogenesi (formazione epatica
di composti a quattro atomi di carbonio a partire dagli acidi grassi).
Un vantaggio ormonale di questo genere può essere ottenuto solo facendo degli spuntini regolari, a cavallo tra i pasti principali. Un’opportunità di mangiare può presentarsi per esempio a metà mattina, un’altra a metà pomeriggio e l’ultima prima di coricarsi. Ovviamente bisogna rispettare la regola degli spuntini anche quando non si ha fame perché ciò significa che i livelli di insulina sono stabilizzati e che tutto procede correttamente. È un po’ come la regola del bere, bisogna farlo poco e spesso prima che insorga lo stimolo della sete; sintomo che il corpo è già disidratato. Infatti, saltare gli spuntini non agevola la perdita di grasso, anzi, ne promuove l’accumulo, peggiorando notevolmente l’estetica del corpo. Ciò è essenzialmente dovuto alla capacità dell’insulina di regolare l’appetito a livello del SNC dove, interagendo con il centro della sazietà, riesce a ridurre l’assunzione di cibo. Saltare uno spuntino significa far scendere la glicemia e con essa anche i livelli di insulina. La caduta dei livelli circolanti di zuccheri e di insulina altro non sono che un SOS lanciato dal corpo per chiedere ai centri della fame di togliere il freno all'appetito. È questo che succede al rientro dopo una giornata, magari un po' stressante, passata fuori casa; ci si siede a tavola e si mangia l'inverosimile. Il fatto è che dopo aver divorato il pasto, una forte scarica insulinica produrrà un'ulteriore riduzione degli zuccheri e con essa una forte sensazione di stanchezza e di fame. Praticante un circolo vizioso che si protrae all’infinito. Nello stesso tempo verrà però accumulato il grasso e impoverito il muscolo, condizione che conduce immancabilmente ad un decadimento della condizione fisica, sia in termini di estetica che di vigore. Andare in palestra in queste condizioni significa subire l'allenamento, e il più delle volte si prende la decisione di andarci solo per non sentirsi in colpa, passando, magari, il tempo a chiedersi il perché di tale spossatezza.
Un vantaggio ormonale di questo genere può essere ottenuto solo facendo degli spuntini regolari, a cavallo tra i pasti principali. Un’opportunità di mangiare può presentarsi per esempio a metà mattina, un’altra a metà pomeriggio e l’ultima prima di coricarsi. Ovviamente bisogna rispettare la regola degli spuntini anche quando non si ha fame perché ciò significa che i livelli di insulina sono stabilizzati e che tutto procede correttamente. È un po’ come la regola del bere, bisogna farlo poco e spesso prima che insorga lo stimolo della sete; sintomo che il corpo è già disidratato. Infatti, saltare gli spuntini non agevola la perdita di grasso, anzi, ne promuove l’accumulo, peggiorando notevolmente l’estetica del corpo. Ciò è essenzialmente dovuto alla capacità dell’insulina di regolare l’appetito a livello del SNC dove, interagendo con il centro della sazietà, riesce a ridurre l’assunzione di cibo. Saltare uno spuntino significa far scendere la glicemia e con essa anche i livelli di insulina. La caduta dei livelli circolanti di zuccheri e di insulina altro non sono che un SOS lanciato dal corpo per chiedere ai centri della fame di togliere il freno all'appetito. È questo che succede al rientro dopo una giornata, magari un po' stressante, passata fuori casa; ci si siede a tavola e si mangia l'inverosimile. Il fatto è che dopo aver divorato il pasto, una forte scarica insulinica produrrà un'ulteriore riduzione degli zuccheri e con essa una forte sensazione di stanchezza e di fame. Praticante un circolo vizioso che si protrae all’infinito. Nello stesso tempo verrà però accumulato il grasso e impoverito il muscolo, condizione che conduce immancabilmente ad un decadimento della condizione fisica, sia in termini di estetica che di vigore. Andare in palestra in queste condizioni significa subire l'allenamento, e il più delle volte si prende la decisione di andarci solo per non sentirsi in colpa, passando, magari, il tempo a chiedersi il perché di tale spossatezza.
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