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domenica 31 marzo 2013

Circa le kcal


Per vivere c’è bisogno di energia, e con il tempo sono stati sviluppati modelli matematici che ci hanno permesso di assegnare un valore numerico tanto alla nutrizione quanto all’attività fisica. Allo stesso modo ci siamo esercitati a fare bene i calcoli e abbiamo capito che per mantenere stabile il nostro peso, dobbiamo introdurre solo il cibo che riusciamo a smaltire con il movimento (vai qui). Così, per esempio, se l’energia contenuta in un gelato è di più di quella necessaria a farci camminare dal frigo al divano, ne accumuleremo la differenza sotto forma di grasso e aumenteremo di peso. Quale energia? Quella contenuta nel cibo, l’energia silenziosa degli alimenti conosciuta con il nome di calorie. Le calorie ci svelano infatti quanta energia c’è in quello che mangiamo e beviamo - proprio come fanno i chilogrammi con il peso – ed è per questo che vengono dichiarate sulle etichette delle confezioni alimentari sotto la voce “valori nutrizionali”. Il quantitativo di calorie di ciascun alimento viene ricavato per mezzo della Bomba Calorimetrica, un recipiente a chiusura ermetica nel quale si brucia un campione definito di cibo e se ne misura il calore prodotto (Vedi sotto). 


Bomba Calorimetrica - La Caloria equivale al calore necessario ad innalzare da 14,5 °C a 15,5 °C la temperatura di un litro d’acqua, alla pressione di 1 atmosfera.  Questa misura viene fatta utilizzando uno strumento creato ad hoc per misurare il potere calorifico di combustibili solidi o liquidi, la bomba calorimetrica. In quest’ultima, gli alimenti vengono fatti letteralmente “bruciare” e il calore da essi prodotto si trasferisce all’acqua circostante. Dalla variazione della temperatura dell’acqua, rilevata attraverso appositi termometri, di deduce quindi il potere calorico del cibo.
Come unità di misura del potere calorifico degli alimenti è stata scelta la Caloria (notate la “C” maiuscola), che in realtà noi preferiamo chiamare kcal (chilocaloria). 

       I valori di Atwater rappresentano una media del valore
       calorico delle diverse forme dei macronutrienti. 
       Così, per i carboidrati il valore di 4 kcal per grammo 
       è stato ottenuto facendo la media della combustione 
       del glucosio, del  glicogeno  e dell'amido. 
       Per gli acidi grassi la media è stata ottenuta
       considerando le calorie legate alla combustione di acidi 
       grassi di diversa lunghezza. Infine, per le proteine è stato 
       escluso il contributo calorico dell'N che a livello biologico
       non ha rilevanza energetica.
Proteine e carboidrati forniscono 4 kcal per grammo, mentre i grassi ne forniscono 9 per grammo. Conoscendo questi valori è possibile definire il contenuto calorico degli alimenti che contengono quantità variabili dei tre nutrienti. 
Se guardate l'etichetta nutrizionale posta sul retro di un cartoncino di latte parzialmente scremato, vedrete che questo contiene all’incirca 50 kcal per ogni 100 g (ml) di prodotto (vedi figura sotto).  
Ciò significa che facendone bruciare 100 grammi su di una fiamma si riuscirebbero a produrre 50 kcal, calore sufficiente ad innalzare di 1 °C la temperatura di 50 kg d’acqua. Di queste 50 kcal, 16 provengono dai grassi (9 x 1,8), 20 dai carboidrati (4 x 5) e 14 dalle proteine (4 x 3,5).

Nella dieta però, non è il calore ad essere importante, bensì l’energia, o meglio la quantità di energia che il nostro corpo estrae dal metabolismo di ciò che mangiamo. Infatti, anche se l’energia viene comunemente misurata in kcal, quando posta in relazione all’organismo vivente assume una significato esclusivamente chimico. 


I processi metabolici trasformano e utilizzano i carboidrati e i grassi, estraendo dagli alimenti ingeriti l’energia necessaria a ricostituire l’ATP. Sono i legami chimici di quest’ultimo a fornire l’energia per ogni attività cellulare. Questi legami, che vengono definiti “legami altamente energetici” e indicati con la notazione (~), non differiscono da quelli che tengono assieme gli atomi dei nutrienti introdotti con l’alimentazione, salvo che per il valore relativamente elevato di energia necessaria a formarli. Un’assunzione media di 2.500 kcal giornaliere si traduce in una produzione di 180 kg di ATP. Ma questo è solo un investimento energetico, recuperabile all’atto della rottura dei legami dell’ATP (idrolisi). Da tutto questo discorso sono state omesse le proteine perché la loro capacità di fornire kcal è certa solo quando si scalda l’acqua in condizioni sperimentali. Infatti, nel contesto di una nutrizione adeguata, gli aminoacidi delle proteine ingerite non vengono spinti nei cicli di produzione dell’energia, bensì risparmiati per essere impiegati in attività più nobili, quale, per esempio, la sintesi di nuove proteine corporee.
Dimenticavo. Come per tutto, c’è sempre qualcuno che si diverte a complicare le cose dando connotazioni diverse a nozioni già acquisite. Così, dal Gennaio 2000 tutti i paesi della Comunità Europea, hanno deciso di assumere un’unità di misura diversa per calcolare la quantità di energia prodotta dagli alimenti, quella riconosciuta dal Sistema Internazionale. Via dunque la caloria e benvenuto al joule, che esprime meglio il lavoro e si abbrevia con j. Per passare agevolmente dalle kcal ai joule, un'unità di misura più consona ai fisici, è sufficiente moltiplicare per 4,186. 


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Le tecniche ed i consigli riportati in questo blog esprimono solo le esperienze dell’Autore e quelle di altri studi ed hanno perciò uno scopo puramente informativo. È sconsigliato l’utilizzo di una qualsiasi di queste metodiche senza aver prima consultato il parere del proprio medico.

Copyright © Pasquale Di Gioia. La riproduzione non autorizzata di questo articolo è espressamente vietata.


mercoledì 27 marzo 2013

L'ATP

Pensate ai nutrienti come se fossero 
banconote di diversi tagli, e che la 
maggior parte dei distributori automatici, in questo caso le cellule, non accetti banconote, bensì solo monete. Ecco, l’ATP è la moneta dell’esempio, l’unica fonte di energia spendibile a livello biologico. Cosa significa ATP? ATP sta per adenosin trifosfato ed è il carburante  dei muscoli e di ogni altra cellula, una vera bomba ultramicroscopica d’energia. Non importa ciò che fate, sia che vi sfioriate un orecchio o solleviate 100 kg alle distensioni su panca, sarà sempre e solo la disponibilità di ATP a consentirvi di farlo. Tuttavia, per disporre continuamente di ATP bisogna spendere le banconote, ovvero i nutrienti da cui poter estrarre l’energia chimica necessaria a ricostituirlo dall’ADP, ciò che dell’ATP resta dopo che  l’organismo l’ha utilizzato  per le sue necessità energetiche. 


L’ ATP è un composto del carbonio con una struttura ben ordinata, come quella di una spina dorsale. Come tale si compone di uno zucchero, il ribosio, che da una parte lega una base azotata e dall’altra una coda formata da tre gruppi contenenti il fosforo (P), da cui, appunto, il nome di trifosfato. Quest’ultima porzione della molecola è molto instabile, e come tale rappresenta l’unica parte attiva dell’ATP. 
Infatti, è proprio tra i gruppi contenenti il fosforo che c’è un sacco di energia potenziale, la stessa che permette ai muscoli di contrarsi. Ogni gruppo fosforico dell’ATP è formato da un atomo di fosforo legato ad atomi di ossigeno (O). Come si può vedere nell’immagine al lato, l’ossigeno si lega agli atomi di fosforo sia centralmente, per mantenerli uniti assieme, che lateralmente per occuparne i legami laterali. In condizioni fisiologiche, parte di questi legami laterali ha cariche di segno meno, conferendo, in tal modo, una carica negativa a ciascun gruppo fosforico. Come ben sapete, le cariche dello stesso segno si respingono e i gruppi fosforici dell’ATP non fanno eccezione a questa legge. Viene così a crearsi, in questa parte della molecola (in rosa), una forte repulsione legata alla volontà di ciascun gruppo di scappare via dall’altro. Ora, immaginate l’energia accumulata da una molla mentre la tenete compressa su di un tavolo; bene, non appena la rilascerete, la molla avrà modo di saltare, liberando così tutta l’energia immagazzinata per mezzo della vostra pressione. I legami che tengono assieme i gruppi fosforici dell’ATP si comportano proprio come la molla dell’esempio: si caricano dell’energia associata alla repulsione elettrostatica degli ossigeni dei gruppi fosforici, che cercano, in ogni modo, di allontanarsi da quelli contigui perché di carica uguale. Tuttavia, queste forze di repulsione non bastano a rompere i legami, e l’energia ad essi associata può essere liberata solo grazie all’intervento dell’enzima adenosin trifosfatasi (ATPasi). Poiché la rottura dei legami dell’ATP prevede l’impiego di una molecola d’acqua, la reazione catalizzata dall’ATPasi prende il nome di idrolisi. L’energia prodotta dall’idrolisi dell’ATP è massima per la rottura dei suoi due legami più esterni, quelli anidridici, e minima per quello interno o estere. La scissione del legame andridico libera il gruppo fosfato più esterno e genera all’incirca 7,3 kcal per ogni mole di ATP degradata, più del doppio di quella fornita dalla rottura del legame estere. In questo caso, l’ATP dona il suo gruppo fosforico degradandosi ad ADP (adenosin difosfato), una molecola contenete solo due gruppi fosforici anziché i tre iniziali: 



L’energia liberata dall’idrolisi dell’ATP non viene però rilasciata a vuoto e a caso, bensì trasferita puntualmente e direttamente ad altre molecole che la richiedono. 
Per esempio, immaginate di stare in palestra, mentre siete impegnati a terminare un set di curl con manubri. Durante ogni singola ripetizione, nei bicipiti, la rottura del legame che unisce l’ultimo gruppo fosforico all’ATP serve a mettere in moto due speciali proteine: l’actina e la miosina. Queste proteine motrici, tipiche del muscolo, riescono così a combinarsi e a scorrere l’una sull’altra determinando l’accorciamento, e quindi la flessione delle braccia.


La nota interessante è che né l’actina e né la miosina sono contrattili se prese separatamente. Però, quando un impulso elettrico dal cervello investe una porzione di muscolo, l’energia fornita dall’idrolisi dell’ATP spinge la miosina ad attaccarsi all’actina, permettendo, infine, lo scorrimento delle due proteine. Ma non è tutto, perché l’ATP serve a consentire anche il distacco dell’actina e della miosina, nonché il loro successivo ricongiungimento in un altro punto più avanzato del filamento. E’ questo un caso di reazioni accoppiate, ovvero di due reazioni che avvengono nello stesso istante, dove la prima fornisce energia alla seconda che la richiede e la utilizza.


La contrazione muscolare richiede energia in maniera continua e l’ATP ne rappresenta la fonte più diretta. Tuttavia, l’ATP presente nell’organismo è poco, appena 80-100 g. Sarebbe a dire che un esercizio massimale completo ne prosciugherebbe la disponibilità nel giro di pochissimi secondi, 2 o 4 al massimo. Fortunatamente però, la limitazione legata alla sua scarsa disponibilità viene superata attraverso una sintesi incessante di ATP, il quale viene rigenerato aggiungendo nuovamente un gruppo fosfato alla molecola di ADP; tuttavia questo richiede energia, proprio come se dovessimo ricomprimere nuovamente la molla. È il catabolismo dei nutrienti a fornire l’energia chimica necessaria alla rigenerazione dell’ATP dall’ADP, un passaggio fondamentale affinché il muscolo possa funzionare per più di qualche secondo. I legami che tengono uniti assieme gli atomi dei nutrienti contengono poca energia e come tali non sarebbero capaci di soddisfare le richieste metaboliche cellulari. Questi legami devono essere quindi spezzati e tradotti in legami a più alta energia, che sono appunto i legami anidride dell’ultimo e del secondo gruppo fosfato dell’ATP.  
L’ATP non è solo contrazione muscolare, bensì lavoro biologico a 360°. Infatti, l’energia fornita dall’ATP serve anche a riparare le strutture danneggiate con l’allenamento, e delle stesse a promuoverne la crescita. È il caso sella sintesi proteica, dove l’ATP alimenta il lavoro chimico necessario ad unire gli aminoacidi gli uni agli altri (Di quante proteine hai bisogno?). Non meno importante è il ruolo dell’ATP nel consentire la concentrazione di sostanze nell’organismo: il “trasporto attivo”, la forma più tranquilla di lavoro biologico, utilizza incessantemente i depositi di energia disponibili per alimentare lo scambio di composti attraverso le membrane semipermeabili.


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domenica 17 marzo 2013

Come guadagnare peso e muscoli.


Sei uno di quei ragazzi che lotta costantemente per mettere su un po’ di peso e di muscoli? Se è così, confortati, devi sapere che non sei il solo. Aumentare di peso e di muscoli non è facile per la maggior parte delle persone impegnate in un programma di allenamento con i pesi, tuttavia, per alcuni, può rivelarsi un’impresa francamente ardua. Queste persone sono costrette a dare fondo a tutte le loro energie per godere di progressi tangibili e, alle volte, si scoraggiano nel proseguire. Di seguito riporto quello che bisogna valutare prima di imbattersi in percorsi infruttuosi di aumenti di peso e di massa muscolare




La genetica: Impostare un obiettivo realistico di aumento di peso. Quando si definisce quest’obiettivo è ai familiari che bisogna guardare perché, in questo caso, la genetica è rivelatrice. Se i componenti della vostra famiglia sono infatti tutti alti e allampanati, probabilmente sarà difficile per voi ottenere un corpo massiccio.  È come se voleste trasformare un cane levriero in un San Bernardo, praticamente è impossibile. Questa constatazione, però, non deve servire a gettarvi nello sconforto, bensì a spronarvi nella ricerca di una strategia giusta per voi, che molto probabilmente siete degli “hard-gainer”. In altre parole, vi trovate in una condizione di maggiore fabbisogno energetico rispetto a chi, invece, riesce a guadagnare peso anche con un quantitativo inferiore di calorie (easy-gainer). Gli hard-gainer, infatti, tendono a bruciare maggiormente l’energia in eccesso, disperdendola sotto forma di calore. Inoltre, il maggior apporto calorico tende a rendere irrequiete queste persone, le quali incontrano difficoltà anche solo a rilassarsi o a stare sedute in silenzio. Quest’ultimo aspetto li porta ad avere un maggior dispendio energetico legato alla termogenesi da attività non associabile all'esercizio fisico (NEAT, Non-exercise activity thermogenesis), ovvero alla quota di energia spesa per tutte le attività fisiche diverse da quelle che possono essere facilmente programmate: scrivere, muoversi, agitarsi, parlare, camminare, stare in piedi, etc.

Le calorie: Prendere appunti di quello che si mangia per un periodo di 3-7 giorni. Per questo vi occorrerà una bilancia da cucina che vi consenta di pesare le porzioni e un quaderno utile ad annotare tutto ciò che mangiate, nonché il momento della giornata in cui lo fate. Inoltre vi servirà consultare un manualetto che indica il valore energetico dei vari alimenti in base al peso. Al termine dei giorni utili alla raccolta di queste informazioni, riprendete i vostri appunti e scoprite, calcolatrice alla mano, il quantitativo di calorie (kcal) e la composizione in nutrienti della vostra dieta. Non spaventatevi però se il  lavoro da fare vi sembra difficile, perché in rete esistono strumenti che possono aiutarvi a reperire agevolmente tutte queste informazioni. Andate qui, è un sito attendibile.
La raccolta di questi dati vi consentirà di farvi un'idea circa il quantitativo di kcal che siete soliti introdurre nell’arco della giornata. Potreste così scoprire che non ne assumevate tante, come invece eravate convinti di fare. In generale, solo per mantenere il peso, sono necessarie 15 kcal al giorno per ogni 0,45 kg di peso. Per esempio, una persona di 70 kg che conduce una vita moderatamente attiva dovrebbe assumere circa 2300 kcal (70 ÷ 0,45 x 15). Invece, per voi che dovete aumentare di  peso, occorre aggiungere dalle 300 alle 500 kcal al fabbisogno energetico valutato con la precedente proporzione. Sopra ogni cosa, sono infatti le calorie in eccesso a promuovere l’aumento di peso e la crescita muscolare, e ciò è dovuto al fatto che la sintesi proteica è un’attività estremamente dispendiosa in termini energetici (vedi qui).
Come suddividere le kcal assunte 
nel corso della giornata.
Da qualche parte ho letto che per soddisfare il surplus di energia, alcuni consigliano di consumare, per prima cosa, alimenti densi di energia e piccoli in volume. Questo perché, i cibi ricchi di fibre e/o con un alto contenuto di acqua, seppur ritenuti importanti per una buona salute, soddisferebbero anzitempo l’appetito, donando una sensazione di pienezza tale da ostacolare il tentativo di assumere più calorie. Sinceramente non la vedo in questo modo, per il semplice motivo che riducendo l’assunzione di alimenti freschi, quali possono essere, appunto,  frutta e verdura, si priva il corpo di molti tipi di vitamine e minerali. Il ruolo di queste sostanze è infatti essenziale per il corretto funzionamento dell’organismo, e privarsene produrrebbe rallentamenti in tutti i processi metabolici, come anche quello della crescita muscolare. Abituatevi invece a fare gli spuntini, regolarmente. Pasti piccoli e frequenti, consumati preferibilmente ogni 3-4 ore, vi garantiranno un miglior assorbimento dei nutrienti ed eviteranno contemporaneamente il catabolismo muscolare. Sarà quindi sufficiente aggiungere 2-3 pasti a quelli principali che già consumavate durante il giorno, e se non lo facevate, iniziate proprio da quelli. Questa piccola accortezza vi consentirà di assumere tutte le calorie necessarie senza per questo forzare eccessivamente il vostro appetito che, almeno all’inizio, potrebbe opporsi  ad una maggiore assunzione di cibo. Un modo per suddividere le kcal assunte nei vari pasti giornalieri, è quello definito nello schema riportato al lato.

L’allenamento: Usufruire sapientemente dell'allenamento. L’allenamento con i pesi, nonostante sia indispensabile per la crescita muscolare, rappresenta pur sempre una potentissima fonte di stress, e come tale va attentamente gestito. In genere, un’ora di allenamento è sufficiente a garantirne tutti gli effetti positivi e a tenere ai margini quelli negativi. Quest’ultimi sono attribuibili all’aumento della fatica, sia fisica che nervosa, che, con il procedere del tempo e delle serie, cresce progressivamente e si accumula. Infatti, se la seduta viene prolungata oltre un tempo limite, che abbiamo detto essere di circa un’ora, gli esercizi causeranno un’eccessiva produzione di ormoni catabolici, in particolare del cortisolo. Questo ormone aggredisce la massa muscolare, disgregandola nei suoi aminoacidi costituenti che saranno successivamente  sacrificati per fornire energia, come tali o sotto forma di zuccheri. Tuttavia, per quanto ci si possa affrettare nel concludere l’allenamento entro i limiti stabiliti, una certa produzione di cortisolo è inevitabile. Il recupero serve quindi a garantire il ripristino di condizioni favorenti la crescita muscolare che si ottengono, appunto, attraverso lo smaltimento dei residui metabolici della fatica.  Allenarsi due giorni si e uno no, dedicando sempre il fine settimana al risposo assoluto, garantisce all’organismo il recupero delle energie, consentendovi un approccio sempre brillantante all’allenamento. Per quanto riguarda la scelta degli esercizi, essa dovrebbe ricadere su quelli di base, cioè quelli che consentono il coinvolgimento di più gruppi muscolari alla volta. È questo il caso delle distensioni su panca, del rematore, dello squat e così via. Un approccio di questo tipo consente di raggiungere appieno l’esaurimento muscolare e, allo stesso modo, di contenere i tempi di lavoro. 

La valutazione dei progressi: Valuta la tua composizione corporea facendoti aiutare da un professionista. Avrai così modo di tenere traccia della qualità della variazioni del tuo peso. L'obiettivo è infatti di aggiungere massa muscolare, non grasso corporeo. Così, monitorando frequentemente i cambiamenti,  avrai un modo obiettivo per valutare nel tempo se l’aumento di peso procede parallelamente ad una corretta ripartizione tra massa grassa e massa magra, quella muscolare in particolare. Per fare questo, potrebbero bastare, quali strumenti di verifica, la misurazione delle circonferenze corporee e delle pliche. Il confronto con lo specchio resta  comunque l’evidenza visiva e più gratificante dei miglioramenti in corso.

Gli integratori: Dubitare di soluzioni apparentemente miracolose. Gli idrolizzati proteici, gli aminoacidi e le barrette vengono spesso proposti con effetti miracolosi sull’aumento della massa muscolare e della forza. Tuttavia, come già precedentemente detto, puntare al solo aumento delle proteine – la strategia perseguita dai più sull’onda della disinformazione - potrebbe rivelarsi una scelta quanto mai semplicistica e inefficace. Il guadagno di peso passa, infatti, attraverso scelte oculate che contemplano l’aumento delle calorie giornaliere, ottenuto sempre e solo attraverso una dieta equilibrata, e l’allenamento con i pesi. Attenzione quindi a quanto propone il mercato degli integratori, perché vengono spesso pubblicizzati prodotti che garantiscono veloci guadagni di peso, forza e potenza. Come buona regola generale, se sembra troppo bello per essere vero, probabilmente lo è. Evitate quindi di sprecare soldi inutilmente e investite invece in alimenti genuini; cibi deliziosi che oltre al palato gratificheranno anche la vostra ambizione estetica.

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lunedì 11 marzo 2013

La Supercompensazione del glicogeno


Si tende spesso a confondere l'adattamento con la supercompensazione, definendo anche con quest'ultima il processo di recupero neuro-muscolare e metabolico successivo ad un determinato stimolo allenante. Però la supercompensazione non è questo, bensì l'esito positivo del carico dei carboidrati. Il carico dei carboidrati, anche conosciuto come rimbalzo glucidico, rebound o ancora carbing up, è un fenomeno programmabile di aumento, determinato da un allenamento mirato e da una dieta specifica, del potenziale energetico dell’organismo sotto forma d'incremento dei depositi energetici muscolari ed epatici di zuccheri (glicogeno). Questa complessa  metodica nutrizionale mira esclusivamente ad aumentare i depositi di glicogeno al di sopra dei livelli fisiologici, cercando, in tal modo, di aumentare la disponibilità di zuccheri in vista di gare di resistenza e di lunga durata. È questo il caso della maratona, dello sci di fondo, del ciclismo, del nuoto di fondo, del calcio, dove, appunto, una maggiore disponibilità di glicogeno può influire positivamente sulla prestazione degli atleti, aumentandone, di conseguenza, le chance di vittoria.
Successivamente, il carico dei carboidrati ha riscontrato anche l’interesse dei culturisti, i quali si sono rivolti ad esso nel tentativo di trarne benefici estetici. In questo caso però, l’interesse è legato esclusivamente alla capacità del glicogeno di trattenere l’acqua all’interno della cellula muscolare, in misura di 3 g per ogni grammo di glicogeno depositato. Quest’ultimo aspetto consente di acquistare centimetri e ottenere, nel complesso, muscoli più voluminosi e densi.

Il carico dei carboidrati ha inizio sei giorni prima dell’evento sportivo e prevede due fasi, una di riduzione del glicogeno (induttiva) e una di ricarica (Figura al lato). Nei giorni sei, quattro e cinque precedenti la gara, gli atleti si sottopongono ad allenamenti intensi e razioni alimentari su base proteica e lipidica, escludendo o riducendo drasticamente i carboidrati dalla dieta. La riduzione del glicogeno ottenuta in questi primi tre giorni favorisce un aumento dell’attività dell’enzima "glicogeno sintetasi". Ottenuto ciò, nei giorni tre, due e uno precedenti la gara l’atleta sospende l’allenamento e passa ad una dieta iperglucidica, ipolipidica e normoproteica. La grande disponibilità di glucosio successiva all'improvviso reinserimento dei carboidrati nella dieta s'incontra così con l’aumentata attività dell’enzima attivato e ciò promuove una elevata sintesi di glicogeno muscolare che, nell’arco di tre giorni, arriva a concentrazioni più alte rispetto ai valori di partenza. 
Un aspetto che pone agli antipodi il concetto di supercompensazione e quello di adattamento allo stimolo allenante è il fine dell’allenamento anabolico, ossia la ricerca esasperata dei culturisti di raggiungere, il giorno successivo all’allenamento, il famigerato D.O.M.S (Delayed Onset Muscle Soreness). Il danno tissutale, avvertito come indolenzimento ritardato a seguito dell’esercizio, non solo limita il recupero muscolare ma compromette anche il ripristino dei depositi di glicogeno rallentando, così, l’adattamento del muscolo allo stimolo allenante. A riguardo, è  stato dimostrato che nei muscoli che hanno subito un trauma eccentrico, i livelli di glicogeno sono solitamente del 25% più bassi dopo un carico di carboidrati. Questo dato è di estrema importanza, e durante la fase induttiva pone l’atleta di fronte ad una via obbligata nella scelta degli esercizi volti a ridurre il glicogeno nei muscoli. 
La supercompensazione glucidica è una metodica sufficientemente stressante e per questo va attuata  solo in vista di una competizione importante. Inoltre, come concetto non dovrebbe essere sovrapposto in nessun modo a quello di incremento delle capacità lavorative ricercato nell’off-season, soprattutto se ci si riferisce all'allenamento con i pesi. Sicuramente, ai fini del recupero, il ripristino delle scorte di glicogeno influisce drasticamente sulla possibilità di allenarsi intensamente, ma tale concetto esula da quello proprio della supercompensazione.

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sabato 2 marzo 2013

Miti e false illusioni.

Le vecchie riviste di culturismo dicevano di più di quelle attuali. Anni fa, nelle colonne dedicate alla presentazione degli atleti, gli stessi si confidavano con i lettori circa la scheda di allenamento, il piano alimentare, nonché quello farmacologico. È proprio quello che ho scoperto consultando i numeri arretrati di alcune riviste che un mio amico, ancora oggi, conserva gelosamente nella sua biblioteca. Oggigiorno la tendenza è invece quella di buttare tutto sul piano scientifico, citando, qua e là, pubblicazioni inerenti l’allenamento, la nutrizione e l’integrazione sportiva. Che questi ultimi siano importanti per la forma fisica non c’è dubbio, che poi siano la base per la preparazione atletica degli atleti di vertice è tutt’altra storia. È il caso degli omoni di 100 chili chiamati a pubblicizzare il solito barattolo di proteine,  tipo di allenamento o di alimentazione, e a fornire anonimi consigli su come combinarli efficacemente per raggiungere i loro stessi risultati; il tutto ovviamente condito dalla puntuale nota informativa circa le supposte prove di validità del metodo proposto. Forse, il contraddittorio legato a questo tipo di messaggi sta proprio nella leggerezza con i quali vengono proposti al grande pubblico, come pure nell’incapacità di poterne dimostrare le virtù al di fuori di un contesto non contaminato da sostanze dopanti. Credo che ormai anche il più ingenuo degli appassionati dell’allenamento con i pesi si chieda se sia effettivamente possibile raggiungere, in maniera naturale, un aspetto imponente tanto quanto quello di chi queste informazioni le va millantando. Al di là di ogni stramberia, l’unico modo possibile per ottenere risultai concreti in termini di massa e definizione muscolare è quello che prevede un allenamento intenso,  un’alimentazione dedicata e il giusto riposo.  Nutrirsi in maniera sana e generosa, dormire a sufficienza, ma soprattutto allenarsi seriamente sono infatti le uniche risorse capaci di garantire a chiunque il raggiungimento della propria soddisfazione estetica.
Chi si avvicina all’allenamento con i pesi per la prima volta, con l’obiettivo di ricavarne tutti i benefici possibili, deve tenere ben in mente che non c’è, in termini di risultati, una tabella di allenamento che tenga se non quella di eseguirla con grinta e perseveranza. Questo per dire semplicemente che la voglia di soffrire e di spingere al massimo devono essere anteposte alla più sofisticata alchimia di esercizi, in quanto l’allenamento sportivo è e resterà sempre una dolce violenza.