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sabato 28 dicembre 2013

Ciò che devi sapere sull'aerobica (prima parte)

di Pasquale Di Gioia

Immagina di stare nel vivo di una lezione di aerobica a corpo libero: la tua fronte che gronda sudore, il respiro affannoso, il battito accelerato, il sangue che corre veloce nei vasi sanguigni per fornire una migliore alimentazione ai muscoli. Tutto questo mentre ti abbandoni alle note di un “pezzo” grintoso che ti fa venir voglia di ballare, saltare e gridare sempre di più. Sei in gran forma e non hai nessun problema a seguire l'insegnante e il gruppo, perché, probabilmente, ti sei dedicata così tanto all’allenamento che il tuo cuore, i tuoi polmoni, il tuo sangue e i tuoi muscoli sono in grado di funzionare nel pieno della loro efficienza (condizionamento cardiovascolare), consentendoti, quindi, di sopportare al meglio gli sforzi che gli stai chiedendo. In pratica, col tempo, sei diventata una tosta, una tipa che può lavorare a lungo senza fermarsi e produrre molta energia prima che gli si formi l’acido lattico, cioè prima della comparsa della fatica, del bruciore e dei crampi. 

Ma che dire, invece, della tua amica che è venuta in palestra solo perché gliel’hai chiesto fino allo sfinimento? Non è allenata, ha sei anni più di te e, per di più, è in sovrappeso. Eppure, alla fine, si è decisa a seguirti, poiché ha sentito dire che l’attività che le hai proposto fa parte di quelle aerobiche, e cioè di quelle attività note a tutti per la loro capacità di far stare bene e di far dimagrire. 

Allora succede che, mentre vi allenate, comincia a cambiare colore, a diventare di un bordeaux che così non l’avevi mai vista prima - e pensa che neppure si era truccata prima di venire in palestra. È affannata, ha una sudorazione intensa e tutto sembra fuorché divertirsi; tant’è che decide di gettare la spugna nel bel mezzo della lezione.

Com’è possibile che ciò avvenga? È molto semplice. Gli effetti che una lezione di aerobica suscita (carico interno), sono differenti da persona a persona, nonostante la traccia musicale e la sequenza dei passi (carico esterno) siano le stesse per tutti (stesso protocollo di studio). E la forbice si allarga tanto più sono marcate le differenze tra i partecipanti alla lezione, fino al punto che per gli obesi l’esercizio tende a raggiungere un’intensità superiore alla soglia di lavoro anaerobico (concentrazione ematica di acido lattico >4 mmol/L), specie se questi sono sedentari e di sesso femminile (1).


Una lezione di aerobica è tanto più impegnativa quanto più i partecipanti sono  sedentari e in sovrappeso. Infatti, i dati relativi alla concentrazione di lattato dimostrano che per gli obesi sedentari l'esercizio fisico può raggiungere un'intensità superiore alla soglia anaerobica, e quindi una situazione in cui prevale utilizzo degli zuccheri anziché dei grassi..

In arancione il punto d’intensità in cui avviene  l’aumento della produzione di lattato rispetto ai valori basali è definito soglia aerobica (2 mmol/L). In rosso il punto d’intensità in cui si ha la massima concentrazione di lattato, tale che possa essere ancora smaltito dal sangue (situazione di equilibrio tra produzione e rimozione) definito soglia anaerobica. L'area compresa tra il punto arancione e quello rosso rappresenta la zona di intensità ottimale per l'allenamento finalizzato al dimagrimento. 
Infatti, benché se ne dica, l'attività aerobica di gruppo, sia essa di ginnastica semplice oppure una tra le tante attività musicali proposte nei centri fitness, non è efficace allo stesso modo per tutti, in quanto non si cura delle differenza di sesso, di età, di corporatura e grado di allenamento di ogni singolo partecipante - insomma, un po' la tomba dell'allenamento personalizzato. Così, mentre per alcuni rappresenta la maniera giusta per riappacificarsi con lo specchio e migliorare la salute, per altri è troppo impegnativa e incide poco o nulla sulla riduzione del peso e dei depositi di grasso. 

COS'È L’AEROBICA
Substrati consumati durante esercizi di varia intensità.
In verde chiaro il glucosio plasmatico, in azzurro i triacilgliceroli
 muscolari;  in rosa gli acidi grassi assunti dal plasma,
 in arancione il glicogeno muscolare.
L’equivoco sull'aerobica e sulla sua capacità di far dimagrire nasce quasi sicuramente dal fatto che come genere di esercizio impone l’apporto di ossigeno, un aspetto di per sé sempre collegato al metabolismo dei grassi. Ma è ora di mangiare la foglia su questo, perché se da un lato è vero che c'entra l'ossigeno, dall'altro è giusto svelare che grazie ad esso il corpo riesce a bruciare pure il glucosio, ovvero l’altra fonte di energia sempre fruibile per il lavoro dei muscoli. E più l'esercizio spinge il corpo a lavorare vicino al valore massimo di assorbimento di ossigeno (VO2max, massimo consumo di ossigeno), che è collegato all'aumento del ritmo cardiaco (FC, Frequenza Cardiaca), e più probabilità ci sono che sarà proprio il glucosio ad essere sacrificato per sostenere gli sforzi (2). Il bruciore muscolare e i battiti del cuore accelerati durante le fasi di maggiore enfasi di un allenamento lo dimostrano nella maniera più inequivocabile.

La produzione aerobica dell'energia
La respirazione cellulare ha luogo nei mitocondri; 
in questa reazione si ossidano i composti del carbonio 
producendo diossido di carbonio e acqua e 
contemporaneamente si genera energia (ATP).
Gli ioni idrogeno (H+) vengono pompati dalla matrice 
verso lo spazio tra le due membrane mitocondriali, 
e si ha perciò l'aumento della loro concentrazione 
in questa sede (evento non riportato nella figura). Per il fenomeno
 della "chemiosmosi",  questi ritornano verso la matrice
 passando attraverso speciali canali proteici, detti ATP-sintetasi;
 tale corrente di ioni mette a 
disposizione energia per la sintesi di ATP.
L’ATP è un composto chimico che può cedere 
energia e viene quindi utilizzato dalla cellula come
 "gettone energetico" in tutte le reazioni cellulari.
C’è un posto esclusivo nelle cellule del nostro copro, e le fibre muscolari fanno parte di questa categoria, dove l’ossigeno (O2) s’incontra con gli elettroni (e-) strappati via ai frammenti degli zuccheri, degli acidi grassi e, in parte, anche a quelli degli aminoacidi per generare l'ATP, il combustibile chimico che alimenta gran parte dei processi vitali. Questo posto corrisponde alla membrana interna dei mitocondri (immagine al lato), un caratteristico secondo strato di rivestimento che, a differenza del primo, quello esterno, è ripiegato su se stesso per diverse volte in maniera da formare degli avvallamenti detti creste. A livello delle creste, grazie ad una serie di passaggi successivi, l’O2 respirato con i polmoni, e trasportato dal sangue, viene qui al flusso di elettroni e si trasforma in acqua (H2O), liberando, allo stesso tempo, una grande quantità di energia, energia impiegata per ricaricare l'ATP a partire dall'ADP e dal fosfato inorganico (Pi) (3). 

Oltre a consumare l'O2 nella maniera descritta, c'è pure che il mitocondrio libera il biossido di carbonio (CO2), un prodotto di rifiuto ottenuto perlopiù a seguito della degradazione delle molecole di acetil-CoA, ovvero, la forma comune assunta dai diversi nutrienti ad un certo punto del metabolismo energetico. Quest'ultimo, a differenza di quello descritto in apertura, è un evento che ha luogo nella matrice, il comparto interno del mitocondrio ricco degli enzimi necessari a dirigere ciascun passaggio del ciclo di Krebs (3).

Il quoziente respiratorio (QR)
Come si evince dalla tabella, il QR  differisce a seconda dei 
diversi substrati energetici ossidati. Qui sono stati 
riportati i valori di soli due substrati: gli zuccheri (glucosio) e 
i grassi (acidi grassi). Ciò non toglie che durante
 l'attività fisica possa essere utilizzato anche un terzo 
substrato, ovvero le proteine (aminoacidi). Tuttavia, in questo caso,
 è nescessario conoscere oltre all'ossigeno consumato e 
al diossido di carbonio prodotto anche l'azoto urinario, 
che rappresenta il prodotto finale dell'ossidazione proteica.
Scopriamo allora che le cellule, grazie ai mitocondri, si trovano a maneggiare gli stessi gas contenuti nell'aria che attraversa i polmoni ad ogni respiro, e, quindi, ad operare una vera e propria respirazione, quella cellulare per l'appunto. Abbiamo così che da un lato il sistema respiratorio preleva per conto delle cellule l'O2 dall'ambiente, mentre dall'altro provvede a disfarsi, sempre per conto delle cellule, del CO2 da esse prodotto. Sebbene quest'aspetto non fa notizia, in quanto è noto a tutti che una boccata d’aria fresca contiene più O2 e meno CO2 di quella espirata, non è altrettanto risaputo che in quest'ultima le concentrazioni dei due gas si modificano in base al tipo di nutriente impiegato per produrre energia. Tale particolarità è legata alle differenze che passano tra gli zuccheri, i grassi e le proteine, differenze chimiche che decidono qual è la razione di O2 da impegnare per trasformare ciascuno di essi in acqua e ATP, nonché l’entità del carico di CO2 che i polmoni devono espellere dal corpo. Pertanto, dall’analisi delle variazioni di  CO2 e O2 nei gas respiratori, e, in particolare,  dal risultato del loro rapporto (Quoziente Respiratorio, QR), si ha modo di scoprire il valore del contributo percentuale di ciascun nutriente al metabolismo energetico: il QR (CO2/O2) può assumere un valore variabile ma comunque sempre compreso tra un minimo di 0,70, quando gli acidi grassi contribuiscono per il 100% e i glucidi per lo 0%,  ad un massimo di 1,00 nel caso opposto (4).

Il QR delle “discipline” aerobiche
La calorimetria indiretta consente di misurare il
consumo di ossigeno e la produzione di diossido di carbonio e, 
attualmente, rappresenta il gold standard 
delle tecniche di misurazione del dispendio energetico a
riposo e nelle singole attività, più o meno complesse.
L'immagine riporta il K4b2 , un sistema portatile di analisi 
dei gas espirati. Questa apparecchiatura offre 
il minimo  ingombro, tanto da poter essere trasportata
come uno zaino e, data l’esiguità  del peso (~925 grammi), 
non  contribuisce ad elevare il costo energetico dell’attività
in esame. Le misurazioni del QR riportate nel testo sono state
ottenute con l'impiego di questa tecnologia.
Grazie al QR alcuni ricercatori sono riusciti a togliersi il cruccio e chiarire una volta per tutte qual è il nutriente maggiormente utilizzato per sostenere gli sforzi durante un’ora di attività aerobica (1). Per farlo hanno raccolto e analizzato il respiro degli allievi di una classe di step, l'attività di gruppo considerata la più "aerobica" tra tutte quelle praticate nei centri fitness. I risultati dell'indagine hanno innanzitutto dimostrato che il tempo effettivo di lavoro della tradizionale "oretta" di attività non è di 60 minuti pieni, bensì di appena 43 minuti per gli uomini e 37 per le donne; a patto però che questi siano già ben allenati, perché, nel caso contrario, ovvero nei sedentari, scende addirittura a 37 e 34 minuti, rispettivamente per gli uomini e per le donne (1). 
Ma il dato più significativo resta comunque quello legato al QR, in quanto è emerso che per il 66% (negli uomini) e per il 72% (nelle donne) dei casi, l’energia utilizzata durante l’ora di aerobica derivava quasi esclusivamente dal glucosio. Per di più, la stessa lezione di aerobica si è rivelata essere maggiormente impegnativa per i partecipanti sedentari in sovrappeso, i quali, durante l'allenamento, hanno fatto registrare valori medi di QR indicativi di prevalente impegno degli zuccheri e battiti cardiaci pressoché sempre elevati (1).

Bibliografia


1. Tubili C., Perrone F., Altieri N., Lombardi M., Fragrante C. 2010. Attività fisica nell’obeso: prescrizione e monitoraggio. In: ADI Magazine, 4: 366-373.

2. Arienti G., Fiorilli A. 2007. Metabolismo dei grassi durante l’esercizio. In: Biochimica dell’attività motoria. 1a  ed. Padova: Piccin. 159-161 pp.

3. AA.VV (Alberts). 2005. Mitocondri e cloroplasti come generatori di energia. In: L'essenziale di biologia molecolare. 1a  ed. Bologna: Zanichelli. 443-454 pp.

4. Mc Ardle W. D., Katch F. I., Katch V. L. 2001. Misura dell'energia: alimenti e attività fisica. In: Alimentazione nello sport. 1a  ed. Milano: Ambrosiana. 175-177 pp.


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domenica 27 ottobre 2013

L'allenamento senza impegno: la tonificazione (seconda parte)

pubblicato da Pasquale Di Gioia

LEGGI : L'allenamento senza impegno: la tonificazione (prima parte)


C’è consenso nel ritenere che oltre al sonno, è l’esercizio fisico lo stimolo fisiologico più potente per avviare la secrezione di GH (1). Ma, se su questo tutti concordano ad una voce, restano ancora sfuggenti gli esatti meccanismi e le possibili molecole che li legano l’un l’altro. Tra i possibili candidati svetta su tutti l'acido lattico prodotto dai muscoli e riversato nel sangue, un probabile collegamento tra il sistema energetico e il rilascio del GH che fa seguito all’allenamento (2). 

Il sistema delle 12-8 ripetizioni
Il sistema culturistico delle 12-8 ripetizioni é in grado di fissare la soglia dell'intensità di allenamento ad un livello tale da provocare una forte stimolazione della scissione anaerobica degli zuccheri: condizione che si realizza solo quando i muscoli vengono esercitati con un peso inferiore a quello utilizzato per l'alzata massimale (1MR) e per periodi di lavoro superiori ai 10 secondi (4). 

Ma si potrebbe allora obiettare che un numero di ripetizioni per serie ancora più alto, come ad esempio le 15 o 20 o 30 tipiche della tonificazione, sarebbe in grado di stimolare maggiormente la produzione di acido lattico, e quindi l'aumento di GH che gli è affine. Il fatto, però, è che un numero elevato di ripetizioni costringe ad utilizzare pesi eccessivamente leggeri e, comunque, non adatti a stimolare a fondo il potenziale muscolare esistente. In sintesi, viene meno la capacità di coinvolgere tutte le singole fibre (quelle rosse e quelle pallide) che compongono il muscolo; in sintesi, viene meno l’altro ingrediente che porta a beneficiare dell’aumento del GH che fa seguito all’allenamento con i pesi:  una tensione muscolare sufficientemente elevata. 
Nel culturismo, quest’ultima, la si raggiunge per gradi, ripetizione dopo ripetizione e con pesi medio-alti (65-80%). Non c’è quindi lo stress improvviso tipico degli sforzi al limite, bensì il progressivo affaticamento della muscolatura ad ogni ripetizione, un affaticamento crescente che chiama al lavoro sempre più fibre muscolari, di modo che, verso la fine della serie, nessuna di esse è lasciata in “pausa”. In questa maniera, quando l’esercizio viene interrotto, nelle contrazioni del muscolo sono state chiamate in gioco tutte le fibre possibili, quasi fino all’ultima; e quasi fino all’ultima, ciascuna di esse, risponde agli stimoli accelerando il processo di sintesi proteica che lo stesso GH contribuisce a supportare.

Cosa succede
Il muscolo che si contrae produce forza, la forza necessaria a spostare l’attrezzo dalla fase iniziale a quella finale del movimento. Dopo ciascuna ripetizione, i meccanismi energetici delle fibre muscolari coinvolte per prime vanno via via esaurendosi, tant’è che il peso si fa sentire sempre di più e la velocità con la quale lo si riesce a sollevare diventa sempre meno controllabile, fino al momento in cui non è più possibile dettare il ritmo di esecuzione e siamo perciò costretti a rallentare. Questo avviene perché le fibre inizialmente chiamate al lavoro si affaticano con l'andare avanti della serie, di modo che la prosecuzione dell’esercizio è perlopiù affidata alla capacità di reclutarne sempre di nuove, fibre più fresche e più forti che fino a quel momento il muscolo aveva provveduto a tenere rigorosamente a riposo e che, invece, vengono anch’esse chiamate tutto d’un tratto ad accollarsi parte del carico. Reclutare sempre più fibre è indubbiamente un compito che richiede tempo, per cui più secondi per eseguire ogni nuova ripetizione. Si tratta, in pratica, di supportare il lento aumento delle richieste di forza man mano che il carico sul muscolo si fa più pesante, un'attivazione a tappe delle fibre che rispetta il livello d'intensità crescente che il progredire della serie impone. Nello specifico, vengono coinvolte dapprima le fibre rosse, quelle programmate per lavorare con gli sforzi leggeri delle prime ripetizioni, poi quelle pallide intermedie (IIa) e successivamente le pallide pure (IIb), le sole capaci di far fronte alle impegnative richieste di forza delle ultime ripetizioni perché più potenti delle altre. D'altronde, però, se è vero che queste ultime sono meglio predisposte a lavorare con maggior carico, è altrettanto vero che si affaticano più facilmente: la massiccia produzione di acido lattico, evento connaturato alle proprietà metaboliche delle fibre di tipo IIb, fa diminuire rapidamente il pH all'interno del muscolo, e condiziona in negativo i processi biochimici di produzione dell'energia a partire dal glucosio (in assenza di ossigeno) (5). Il bruciore e la sofferenza delle ultime ripetizioni ne rappresentano il sintomo inequivocabile, un chiaro invito ad interrompere la serie per via dell'imminente blackout energetico. L'acido lattico, così prodotto, si accumula man mano e comincia a lasciare il muscolo per raggiungere il liquido interstiziale, e quindi il sangue, e a stimolare la secrezione di GH. 



Un protocollo di allenamento che stimola solo il bruciore muscolare non è adatto a promuovere i benefici dell'incremento di GH che gli fa seguito. Una tensione muscolare adeguata a coinvolgere quante più fibre possibili rappresenta l'altro fattore di successo di un programma di dimagrimento e costruzione muscolare.. 
Il GH stimola (+) direttamente la liberazione dei grassi (acidi grassi) contenuti nelle cellule adipose del corpo, nonché il loro utilizzo come fonte di energia (3). Sull'accrescimento muscolare, invece, gli effetti del GH non sono del tutto diretti, bensì mediati dalla produzione di una sostanza secreta dal fegato: l'IGF-1. L'IGF-1 (fattore di crescita simile all'insulina 1) escreto dal fegato in seguito a stimolazione con l'ormone ipofisario (GH), possiede molte delle attività  promotrici della crescita simili a quelle dell'insulina, e in quanto tale giustifica gran parte degli effetti anabolizzanti che il GH esercita sul muscolo. L'effetto complessivo del GH è comunque quello di sostenere l'accumulo di massa corporea magra (3,4).

Ma non è tutto, perché c’è un modo per affaticare ancora più a fondo i muscoli e aumentare ulteriormente i livelli di GH in risposta all’allenamento, e consiste nel trovare il coraggio di andare al di là delle ultime ripetizioni, proseguire cioè anche quando dolore e disagio si fanno insistenti e la testa e i muscoli dicono no.


Le ripetizioni forzate
Verso la fine della serie, con i sistemi energetici ormai in crisi, l'esecuzione dell'esercizio rallenta e diventa sempre più difficile eseguire per intero il movimento; sopraggiunge quindi un'evidente impossibilità di continuare da soli, il cosiddetto cedimento. Tuttavia, questo limite non coincide con il massimo affaticamento, perché, sebbene i muscoli non hanno più la forza di sollevare (contrazione concentrica o fase suerante) completamente il peso, conservano ancora l'energia per trattenerlo (contrazione isometrica) o frenarlo nella fase di discesa (contrazione eccentrica).
Si fa allora prezioso l'intervento di un compagno che aiuta a tirar su il carico quando a stento si riesce a completare l'ultima ripetizione possibile, lasciando poi a chi si sta allenando la fatica di frenarne la discesa. Questa è quella che si chiama ripetizione forzata, cioè una maniera per arrivare al numero impostato di ripetizioni costringendo i muscoli a continuare a produrre forza, anche quando sono sull'orlo del cedimento totale. Il valore di queste ripetizioni "extra" sta nella capacità di far aumentare i livelli di GH nei 30 minuti seguenti l'allenamento in maniera maggiore rispetto ad una serie completata senza il loro utilizzo (1). 

Come e quando applicare le ripetizioni forzate
Concludere ogni volta con il compagno che ci toglie il bilanciere di dosso sarebbe troppo e, per certi versi, scomodo da mettere in pratica. Infatti, le ripetizioni forzate non rappresentano la regola delle serie, bensì l'eccezione dell'ultima. Occorre allora affaticare sì la muscolatura ad ogni serie, ma arrivare al cedimento completo e proseguire oltre - grazie ad un aiuto esterno - solo nell'ultima delle tre che comunemente si fanno per ogni esercizio. Si tratta quindi di procede per gradi dal leggero al pesante, riducendo metodicamente il numero delle ripetizioni in affinità all'aumento dei chili sollevati, i quali vengono aggiunti all'attrezzo alla fine di ogni serie. 

Indicazioni pratiche
Si eseguono 12 ripetizioni nella prima serie con un carico ridotto, ci si riposa per uno o due minuti, si mette altro peso e si fanno ancora 10 ripetizioni in assoluta autonomia. Procedendo in questo modo si abbatte il rischio dell'infortunio, perché ci si avvicina al rigore dell'ultima serie con gradualità, cioè quando le articolazioni, i legamenti e i muscoli sono predisposti al meglio per affrontare gli sforzi più intensi, e questo vale soprattutto se si tratta del primo esercizio della scheda. Dell'ultima serie, in genere la terza, bisogna essere in grado di completare da soli, e perciò senza sbavature nell'esecuzione del movimento, almeno 6 o 7 delle 8 ripetizioni previste, proseguendo solo poi con quelle aiutati da un compagno. 

Il valore delle forzate
Le forzate sono efficaci nella misura in cui l'assistente ha l'esperienza per capire esattamente quanto aiuto dare, un aiuto che non deve essere né troppo e né troppo poco, bensì sufficiente a sostenere l'attrezzo mentre viene portato nuovamente nella parte alta del movimento. 
Il numero delle ripetizioni forzate da eseguire è in relazione alla capacità di abbassare lentamente l'attrezzo, un periodo che deve essere di circa 4 secondi. Discostarsi da tale valore potrebbe indicare solo due cose: si è giunti al totale sfinimento (<4 sec.), oppure che il carico utilizzato non era adatto alla terza serie e perciò insufficiente per innescare la risposta ormonale desiderata (>4 sec.).

Se è una scheda che stai cercando potrebbe essere la seguente:



Bibliografia:

1. Godfrey R.J., Madgwick  Z., Whyte G.P. The Exercise-induced Growth Hormone Response in Athletes (Abstract). Sports  Med.  2003; 33(8):599-613.


2. Godfrey R.J., Whyte G.P., Buckley J., Quinlivan R. The Role of Lactate in the Exercise-induced Human Growth Hormone Response: evidence from McArdle disease (Abstract). Br. J. Sports Med. 2009 Jul; 43 (7):521-5.


3. Arienti G. Le Basi Molecolari della Nutrizione Umana. Integrazione Metabolica di Glicidi, Lipidi e Proteine. Casa Editrice Piccin, Padva. 2003 pp. 387.

4. Rhoades R., Pflanzer R. Fisiologia Generale e Umana. Gli ormoni ipofisari. 2004. Casa editrice Piccin, Padova. pp 446-448.

5. Arienti G., Fiorilli A., Biochimica dell'Attività Motoria. Tipologia delle Fibre Muscolari in Allenamento. 2007. Casa editrice Piccin, Padova. pp. 86-89.

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martedì 15 ottobre 2013

L'allenamento senza impegno: la tonificazione (Prima parte)

pubblicato da Pasquale Di Gioia

Quando le persone chiedono di voler "tonificare", stanno esprimendo in realtà il desiderio di migliorare il proprio aspetto. In sostanza, aspirano a perdere il grasso e a modellare un po' i muscoli, ma non così tanto da finire per rassomigliare ad un culturista - come se ciò fosse possibile. E sai in che modo credono di realizzare questo progetto a dir poco ambizioso? Naturalmente facendo un’infinità di ripetizioni con pesi infinitamente leggeri. Ma quello che probabilmente non sanno è che questa idea di tonificare i muscoli si trova quasi in cima alla lista dei miti e delle leggende che ancora circolano sull’allenamento, una sorta di diceria seconda solo a quella del dimagrimento localizzato.

Il tono
La realtà è che la parola “tono” definisce semplicemente la contrazione parziale che i muscoli conservano quando sono a riposo, una sorta di stato di vigilanza che serve a farli scattare non appena il cervello glielo ordina. Inoltre, si tratta di una condizione del tutto involontaria, refrattaria dunque a qualsiasi tentativo di controllo, specie se questo si risolve col sollevare piccoli pesi per 20 o 30 volte di seguito, tirare elastici o scalciare come i cavalli fino a diventare blu in viso. 

Tonificazione: l'allenamento senza impegno
Ho come l'impressione che la "tonificazione" sia un termine creato ad hoc per indorare la pillola dell'allenamento con i pesi per gente poco disposta ad impegnarsi sul serio quando è in palestra. È chiaro, allora, che in questi casi tira di più l'idea di protrarre all'infinito una serie con un carico che si riesce a sollevare senza battere ciglio, piuttosto che il pensiero di dover assumere una mimica facciale esasperata mentre si tenta di eseguire l'ultima di un range di 8-12 ripetizioni. La soddisfazione per essersi allenati sarà comunque presente in entrambi i casi, ma è pur vero che solo il secondo metodo, quello più intensivo dei due, garantirà risultati in termini di modellamento del corpo. 

Aneddoti da palestra

"Se vuoi migliorare il tuo corpo per davvero, devi sforzarti di aumentare il carico ogni volta che puoi e tirare le serie fino a quando non sei più capace di eseguire un'altra ripetizione da solo. Bene, una volta raggiunto questo limite, fatti aiutare da un compagno per portare a termine almeno altre due ripetizioni".

Tutto esattamente in contrasto con quanto ti dicono da sempre i puristi dell’aerobica a proposito di allenamento e tonificazione, ma devi sapere che questi sono gli stessi consigli che circolano negli ambienti in cui l’allenamento con i pesi è praticato per davvero, e che per davvero fa ridurre il grasso e modellare i muscoli. Infatti, non devi assolutamente sprecare il tuo tempo in palestra cercando di bruciare quante più calorie possibili con ripetizioni molto elevate, sperando magari di ottenere una riduzione proprio dell’adiposità adiacente al muscolo che stai esercitando, bensì darci dentro pesante per sfruttare la capacità che gli esercizi con i pesi hanno di influenzare la risposta di ormoni durante e dopo l’allenamento. 
Gli ormoni sono messaggeri chimici che ghiandole e cellule specializzate producono per controllare il funzionamento degli organi e dei tessuti situati in ogni parte del corpo. Una volta scaricate nella corrente sanguigna, queste sostanze dirigono miriadi di attività e influenzano pressoché tutto ciò che nell’organismo succede. Muovi un dito? Sono gli ormoni che hanno garantito ai muscoli la presenza di zuccheri da trasformare in energia per il movimento. Stai per molto tempo senza mangiare? Ci pensano gli ormoni a procurarsi il sostentamento da non far mai mancare ai tessuti più importanti del corpo, come il cervello per esempio. 
Ebbene, non si sa come ma i culturisti sanno da sempre come esaltare la risposta ormonale più proficua per eliminare l’adipe dal sottocute e costruire il muscolo, e la scienza oggi gliene dà merito (1;2). È stato dimostrato, infatti, che un allenamento intenso riesce ad esaltare in maniera del tutto naturale la produzione ormonale di ghiandole e tessuti, in particolare del GH (ormone della crescita) che aumenta in affinità ad una maggiore formazione di acido lattico e, quindi, ad una più forte sollecitazione del sistema anaerobico lattacido (2).

Il GH
È l'ormone rilasciato dalla porzione anteriore dell'ipofisi, una ghiandola grande quanto un nocciolo di ciliegia situata alla base del cervello, incastonata in una cavità ossea chiamata "sella turcica". La liberazione del GH avviene su comando dell'ipotalamo che invia all'ipofisi, cui è connesso da una sottile striscia di tessuto, segnali ormonali (3). L'ipofisi, così stimolata, secerne il GH che una volta in circolo promuove un ottimo ambiente per il modellamento del corpo, in quanto capace di aumentare il ritmo di smaltimento del grasso e, al contempo, accelerare l’accrescimento del tessuto muscolare. L'effetto complessivo di questo ormone è quindi quello di promuovere un aumento di massa corporea magra (3). 

L'acido lattico e la produzione anaerobica di energia dal glucosio 
Grossomodo, si tratta del bruciore che avverti quando sottoponi i tuoi muscoli ad un ritmo troppo rapido di lavoro, una condizione di affaticamento eccessivo dovuto alla produzione e all'accumulo di acido lattico, un sottoprodotto del metabolismo del glucosio che dapprima "inceppa" il lavoro delle fibre muscolari e poi si concentra nel sangue. A monte di tutto, la necessità del muscolo di ricaricare l'ATP per sostenere sforzi non al limite e in tempi tali che non consentono di indugiare nell'intervento dell'ossigeno; è in queste condizioni che il metabolismo si affretta a rompere a metà il glucosio, anche a patto di ricavare solo parte di tutta l'energia che esso può fornire (3).


GH-Acido Lattico: cosa dice la scienza

Il lattato è ciò che dell'acido lattico resta dopo che quest'ultimo ha perso il protone (H+). Di seguito verranno utilizzati come sinonimi.


La conferma della relazione esistente tra il sistema energetico degli zuccheri e i livelli di GH arriva da una ricerca che ha valutato la concentrazione ematica di questo ormone a seguito di un allenamento sul tapis roulant in 11 persone affette dalla malattia di McArdle (4), una patologia su base ereditaria che rende incapace chi ne soffre di utilizzare i depositi di glicogeno muscolare per il metabolismo dell’omonimo tessuto. Ne consegue l'incapacità di produrre acido lattico e l'impossibilità che questo si accumuli nel sangue durante l'attività muscolare intensa; un aspetto, quest'ultimo, che ha permesso ai ricercatori di chiarire il ruolo del lattato nella risposta ormonale suscitata dall'esercizio fisico.   
Quello che ne è emerso è la prova incontrovertibile che una relazione tra i livelli di lattato e quelli di GH c'è per davvero, e nove degli undici soggetti valutati lo hanno dimostrato mantenendo pressoché ai livelli di riposo sia la concentrazione di lattato (0,3 - 1,2 mmol/l) che quella di GH (>3 microg/l) anche dopo la prova di corsa (4). 

Bibliografia

1. Jeremy C., Fransen M.S. and Kravitz L. An exercise professional’s Guide to acute hormonal Changes from Resistance exercise. ACSM’s HEALTH & FITNESS JOURNAL 2011 VOL. 15/ NO. 6

2. Willardson J. M., Norton L., Wilson G. Training to Failure and Beyond in Mainstream Resistance Exercise Programs. Strength and Conditioning Journal 2010 June; 32(3): 21-29.

3. Rhoades R., Pflanzer R. Fisiologia Generale e Umana. Gli ormoni ipofisari. 2004. Casa editrice Piccin, Padova. pp 444-446.


4. Godfrey R.J., Whyte G.P., Buckley J., Quinlivan R. The Role of Lactate in the Exercise-induced Human Growth Hormone Response: evidence from McArdle disease (Abstract). Br. J. Sports Med. 2009 Jul; 43 (7) : 521-5.

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domenica 22 settembre 2013

Rassodare i tricipiti (con scheda di allenamento)

pubblicato da Pasquale Di Gioia


Un problema comune a molte donne non più giovani, in particolare a quelle che amano indossare i tubini o qualsiasi altro abito privo di maniche, è l’odioso rilassamento dei tessuti della parte posteriore del braccio, quella zona penzolante appena sotto le ascelle che fa tanto “ciccetta flaccida".



Sullo sfondo
Il rilassamento della parte interna delle braccia è chiamato ptosi muscolo-cutanea e consiste in una antiestetica condizione caratterizzata dalla perdita di elasticità della pelle nella zona del muscolo tricipite, dalla ridotta consistenza di quest'ultimo, nonché dalla tendenza che ha il grasso di accumularsi proprio lì. È frequente tra le donne non più giovani e tra quelle che hanno sperimentato negli anni cicli di rapida perdita e guadagno di peso.

L’età
Contrastare il rilassamento nella zona delle ascelle è in realtà una sfida contro il tempo - chiedilo pure alle donne che navigano verso i quaranta o giù di lì. Con l'avanzare dell'età, infatti, si tende a perdere collagene ed elastina, due componenti del tessuto connettivo che assieme favoriscono il benessere della pelle, regalandole tono ed elasticità. Purtroppo, neanche il muscolo sfugge all'inclemenza dei giorni che passano, tant'è che attorno ai 45 anni, e con una pendenza via via sempre più alta, si rimpicciolisce, perdendo sia in forza che in capacità di consumare energia con lo stesso ritmo di prima: una condizione che favorisce l'accumulo di grasso corporeo proprio nelle adiacenze del muscolo.

Le diete
Ad aggravare il quadro, un'alternanza di ingrassamenti e dimagrimenti continui e l'impossibilità della cute di tenere il passo delle rapide variazioni di consistenza dei tessuti sottostanti (grasso e muscolo), che dapprima si gonfiano e stirano la pelle e poi si ritirano, lasciandola raggrinzita e cadente. Allo stesso modo, le drastiche riduzioni di peso impoveriscono il corpo di prezioso tessuto muscolare, una condizione che inceppa il metabolismo e contribuisce a fissare l'adipe nel sottocute. 

Allenamento: miti e leggende
A torto, orde di donne confidano ancora nell’aerobica per dimagrire, ma si tratta di una convinzione ormai ferma agli anni '80, periodo in cui esplose la febbre per le attività che lasciavano le praticanti in un bagno di sudore, attività perlopiù svolte in classi collettive di discipline come lo step, il corpo libero e tutte le altre che oggi si chiamano zumba. Attualmente sappiamo che non è così, perché questa forma di esercizio, da sola, non rappresenta il modo migliore per intaccare i depositi di grasso, né tanto meno per restituire vigore ai muscoli. Dall’altra parte il provincialismo che ancora domina l’argomento "allenamento con i pesi e  donne", con un atavico timore da parte di queste ultime di diventare "muscolosamente" informi. È chiaro che si tratta di un timore del tutto infondato dato che la costituzione ormonale femminile, per via dei bassi livelli di testosterone, non consente di incrementare a dismisura la massa muscolare, benché si adottino le stesse regole di allenamento degli uomini. Detto questo, la convinzione ancora regge e il lavoro in sala pesi viene relegato ai margini di quello aerobico o, tuttalpiù, assume la forma della tonificazione. Tecnicamente parlando, la tonificazione non ha proprio niente a che fare con l’allenamento con i pesi e, in realtà, la parola tono fa semplicemente riferimento allo stato di contrazione parziale in cui versano i muscoli durante il riposo, una condizione del tutto involontaria che non può essere assolutamente cambiata attraverso un’infinità di ripetizioni eseguite con un peso esiguo. 

Come comportarsi
Rivolgersi alla chirurgia estetica per risolvere il problema potrebbe essere di per sé una valida soluzione, rapida e risolutiva, sebbene costosa e con non pochi rischi associati all’intervento. L’alternativa più valida e meno cruenta è rappresentata dall’esercizio fisico, ma non quello di tipo “funzionale” new age che va tanto di moda adesso, bensì da intense sessioni di allenamento con i pesi specifiche per i muscoli delle braccia. Parlo di muscoli delle braccia nel loro insieme e non dei soli tricipiti, perché conosco bene gli scarsi risultati ottenuti da molte donne che, di risulta dalla quotidiana lezione di aerobica, si precipitano una tantum in sala pesi ad allenare solo quelli, utilizzando perlopiù anonimi esercizi di isolamento come le estensioni all’indietro con manubrio. Allenarsi a questa maniera, sollecitando i tricipiti con carichi irrisori e solo di tanto in tanto, non fornisce uno stimolo adeguato, in quanto sono gli esercizi composti, eseguiti con carichi pesanti e con regolarità, a forzare la riserva di crescita muscolare (sollecitazione delle fibre muscolari bianche). Inoltre, sebbene al tricipite spettano ben due terzi della circonferenza delle braccia, e del loro aspetto complessivo, non è da trascurare assolutamente l’allenamento dei bicipiti che, seppur situati sulla faccia anteriore, contribuiscono con il loro sviluppo a stendere la pelle e a bruciare più velocemente tutto il grasso delle braccia, e quindi a scolpirle.

Operazione restauro con le superserie
Per ridare turgore alle braccia l’espediente è quello di allenarle in superserie, ovvero con una combinazione di due esercizi da eseguire l’uno appresso all’altro senza pause di riposo nel mezzo e con un numero simile di ripetizioni per serie. Nel caso specifico, si tratta di impegnare in maniera alternata i bicipiti e i tricipiti, due gruppi muscolari che lavorano inequivocabilmente in opposizione tra loro (muscoli antagonisti). L’altro accorgimento consiste nell’aprire il workout per le braccia partendo sempre dagli esercizi composti eseguiti con carichi sufficientemente pesanti, per poi lasciare in coda la robetta più leggera, movimenti più specifici utili ad isolare i muscoli e a spremergli le ultime gocce di energia dopo che sono stati già affaticati con sforzi intensi.

L'efficacia di questo metodo
Abbinando un esercizio per i bicipiti ad uno per i tricipiti s'ottiene un effetto sinergico migliore di quanto sia la somma dell'effetto di ogni esercizio considerato a sé, si risparmia tempo e il workout procede più spedito. Difatti, basta saltare una pausa tra una serie e l'altra di due esercizi diversi e, oltre a ridurre la permanenza in palestra, si dà vita ad un'unica grande serie del tutto diversa da ciascuno degli esercizi che la compongono. Metà della superserie ha infatti la funzione di migliorare l'efficacia dell'altra metà, allungando un gruppo muscolare mentre ne contrae un altro e mantenendo l'irrorazione sanguigna sempre molto forte in entrambi i gruppi muscolari per tutta la durata dell'allenamento e oltre. Quest'ultimo aspetto permette al sangue che ha riempito i muscoli durante l'allenamento di ristagnare più a lungo, consentendo alle fibre lacerate dei tricipiti e dei bicipiti di approvvigionarsi immediatamente di nutrienti, enzimi e ormoni, ovvero di tutto ciò gli occorre per ripararsi e svilupparsi.

La scheda d'allenamento

Qui al lato, trovi un'intera sessione di superserie che abbinano tre esercizi per i bicipiti con tre movimenti per i tricipiti. È necessario eseguire la seconda metà di ogni superserie con un attrezzo situato nelle immediate vicinanze, in modo tale da poterlo raggiungere nel minor tempo possibile. Per esempio, sistema il cavalletto con il bilanciere per i curl nei pressi della carrucola per le spinte in basso prima di iniziare ad eseguire questi due esercizi. Ti consiglio, inoltre, di cominciare sempre con un paio di serie di riscaldamento, per un totale di 15-20 ripetizioni utilizzando un peso leggero, e di passare solo dopo alle tre serie effettive da 8-12 ripetizioni. Al termine di ogni serie sforzarti di aumentare il carico secondo quello che è il vecchio, quanto efficace, sistema piramidale. Per assicurarti un recupero adeguato ed essere in grado di utilizzare sempre il peso limite, concediti pure una pausa di 90 secondi tra una serie e l’altra e di 5 minuti tra due diverse coppie di esercizi. 

In sintesi
L’allenamento formulato in questa maniera è preso pari pari dalle tecniche che utilizzano i culturisti per sviluppare la massa e la definizione delle braccia, per cui rappresenta un chiaro invito ad utilizzare delle strategie ben consolidate e, quindi, efficaci anche per i muscoli più atrofizzati. Si tratta, infatti, di stimoli che costringono i muscoli ad accrescere la propria massa, un risultato desiderabile per tutti, visto che parliamo di un tessuto metabolicamente molto attivo, di per sé capace di ridurre i depositi di grasso, di migliorare l’aspetto e la funzionalità dell’organismo in genere. Nonostante ciò, le superserie sono valide finché non ti accorgi di essere finita con l'affanno respiratorio e il battito costantemente accelerato, due sintomi che ti dicono chiaramente che stai allenando il cuore e i polmoni anziché i muscoli, e il target dell'affaticamento deve restare categoricamente su quest'ultimi. 

L'ultimo consiglio
L'attività aerobica va bene, ma non farla diventare un appuntamento quotidiano a tutti i costi, perché alla lunga logora il tessuto muscolare divenendo, pertanto, una forma di esercizio con scarsa capacità di bruciare il grasso, inoltre, è in grado di interferire con gli effetti benefici dell'allenamento con i pesi, nonché di intensificare la produzione dei radicali liberi che danneggiano membrane e DNA delle cellule.

Leggi anche:
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domenica 15 settembre 2013

La Plicometria e la % di grasso

Per rabbonire uno specchio fin troppo sincero non è sufficiente eliminare a vanvera i chilogrammi di peso, ma bisogna sforzarsi di ridurre quelli giusti, quelli perlopiù rappresentati dalle adiposità localizzate che appesantiscono la silhouette. Con una corretta valutazione della quantità di massa grassa e massa magra sarai in grado di capire quanti chilogrammi di grasso in più hai effettivamente addosso e, di conseguenza, assicurarti che la perdita di peso proceda proprio a discapito di quest’ultimi.

La composizione corporea
La composizione corporea definisce quanto del peso è grasso e quanto non lo è, ovvero distingue la massa grassa da quella magra. La prima è rappresentata dall’adipe interposto tra la pelle e i muscoli (sottocutaneo) e da quello che avvolge gli organi all’interno della cavità addominale (periviscerale), mentre la seconda si compone dei muscoli, delle ossa, della pelle, degli organi e, in maggior misura, dell’acqua. Un modo semplice per discernere tra queste due componenti è quello di definire la quota percentuale di grasso corporeo e, per esclusione, tutto il resto.

Il plicometro
Seppur innovativo quanto lo è la moka per la preparazione del caffè, il plicometro resta lo strumento professionale più utilizzato per valutare localmente gli accumuli di grasso. Inoltre, consente di definire e di tenere traccia dei cambiamenti della composizione corporea con la plicometria, un test che chiarisce quanto grasso c’è nel corpo e la sua reale perdita durante un periodo di allenamento e di dieta.

Un po' di più di una semplice pinza
Il plicometro somiglia tanto ad una pinza e i suoi tratti distintivi sono la molla fissata ai bracci e la scala millimetrata di cui è dotato. La prima permette di esercitare sulla cute una pressione costante (10 g/mm2) mentre la seconda di leggere il valore (in mm) della plica.

Quel pizzico in più che...
Stringendo a pizzicotto tra due dita un punto qualsiasi del corpo, ottieni ciò che in nutrizione è chiamata plica cutanea, una sorta di "sandwich" a doppio strato di pelle con dentro la porzione di grasso sottostante, quello sottocutaneo (figura al lato). L’idea sfruttata dalla plicometria è che quest’ultimo rispecchi implicitamente tutto il grasso corporeo, o almeno un buon 50% di esso, che è pertanto possibile valutare stabilendo lo spessore delle pliche adiacenti a precisi punti di controllo, tra cui sono rilevanti quelli dell’addome, del torace e delle braccia. Lo spessore di ciascuna plica chiarisce inoltre quali sono le zone di maggiore accumulo e, pertanto, fornisce una mappa della distribuzione del grasso su tutto il corpo. 

Una tecnica da Dio

Ogni plica viene isolata con l'indice e il pollice della mano sinistra, facendo scorrere le due dita l'una verso l'altra con un movimento a raccolta che permette di scollare la pelle e il grasso dal muscolo sottostante. Subito dopo, mentre si continua a tenere con fermezza la plica, si applica il plicometro con la mano destra e si effettua la lettura dello spessore del grasso. 

E poi?
Il valore di questa valutazione sta nella possibilità di poterla rifare a distanza di un po’ di tempo, di solito dopo un periodo di allenamento e di dieta. In questo modo, lo spessore di ogni plica è utilizzato per verificare, in un confronto tra "prima" e "dopo", in quali zone si è realmente ridotto il grasso e in quali altre no. 


La percentuale di grasso corporeo s'ottiene, invece, individuandola all’interno di una tabella di riferimento (vedi sotto), in corrispondenza del valore che coincide con quello della somma delle pliche. 


Il livello di precisione di questo test dipende per lo più dall'esperienza di chi fa le misurazioni e dal tipo di plicometro utilizzato. Strumenti a buon mercato e la scarsa manualità dell'operatore producono risultati non attendibili. 
Molte persone hanno una costituzione cutanea e sottocutanea che mal si presta a isolare le pliche, come è anche da considerare l’impossibilità meccanica del plicometro di aprirsi per misurare accumuli di grasso eccessivamente grandi. 


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